Prime impressioni


Di seguito pubblichiamo le prime impressioni raccolte durante il viaggio in Senegal di luglio da Michele Vignogna, Flavia Zecchin e Elena Tramacere.  

Il mio primo giorno alla Garderie

Siamo arrivati all?asilo il 4 luglio verso le 12.30. L?edificio ha una facciata accogliente, ? a due piani con un contrasto di colori tra il marrone scuro del contorno e il marrone pi? chiaro dei muri. La Garderie si trova in un quartiere residenziale e si armonizza bene con il resto delle case della via. Se non fosse per un grande striscione che indica che questa casa ? un asilo, lo si prenderebbe per una delle tante abitazioni tra le altre. Appena entri, per?, ti accorgi subito di dove sei. Le classi sono colorate di verde, blu, rosso, giallo e arancione. Si possono vedere i lavori dei bambini appesi ai muri: fogli colorati, lettere dell?alfabeto, decorazioni e ornamenti vari. Si pu? sentire il tipico mormorio di una scuola: gli insegnanti che parlano ad un livello di voce alto abbastanza per farsi sentire e i bambini che chiacchierano e ridono. Siamo poi usciti nell?area gioco, che ? solo uno slargo rettangolare pavimentato di 20×30 piedi. Qui da una parte c?? una casetta in plastica dove i bambini possono giocare e dall?altra ci sono 5 altalene. Quando siamo arrivati c?erano circa 20 bambini che stavano giocando in questo cortile interno. Appena hanno visto Maurizio sono esplosi all?unisono gridando ?Maurice! Maurice!? e gli sono corsi incontro per abbracciarlo e stringergli la mano. Se non potevano raggiungerlo o se l?avevano gi? raggiunto, i bambini venivano incontro verso il resto di noi (Elena, Flavia e io). Erano cos? eccitati! Ti da un?incredibile sensazione avere cos? tanti bambini che ti corrono incontro per abbracciarti: prima hai paura che si potrebbero far male per la foga che ci mettono; poi pensi che potrebbero atterrarti e alla fine ti prende un senso di euforia. ? fantastico vedere cos? tante facce sorridenti e immediatamente ti innamori di questi felici, simpatici e gentili bimbi.

La festa

? la fine dell?anno scolastico per l?asilo ?Un Autre Monde? e si sente l?eccitazione nell?aria?ci sar? una festa! I festeggiamenti sono iniziati verso le 4, ma in un modo del tutto senegalese, abbiamo saltuariamente preparato tutto sia durante la mattina che il pomeriggio. Io sono stata sufficientemente fortunata da poter dare una mano nel preparare le merende per i bambini, che consistevano in dei sacchettini contenenti biscotti, popcorn e un succo di frutta. Qui i popcorn li condiscono con zucchero e latte in polvere invece che con il sale. Non ho messo mano alla preparazione dei biscotti, ma cos? a vederli sembravano veramente buoni.

Verso le 3.30 i tendoni sotto cui ripararsi erano ormai montati e sono arrivati il DJ e i percussionisti. Le maestre e lo staff femminile hanno indossato dei bellissimi vestiti africani di chiffon argentato con decorazioni floreali luccicanti. Erano elegantissime e io ho iniziato a sentirmi davvero a disagio nei miei pantaloncini e maglietta. Cos? ho subito pensato di andare da qualche parte a comprare qualcosa di pi? appropriato, ma Amadi ha sorpreso me, Elena e Flavia con un fantastico regalo: gli stessi bellissimi vestiti.

I bambini sono arrivati tutti insieme, ormai tutto era pronto e la festa ? iniziata con i saluti e i ringraziamenti di Amadi. Ogni classe aveva preparato una presentazione speciale con canzoni che i bambini hanno cantato chi individualmente chi in coro. Ogni tanto le presentazioni erano interrotte da musiche e danze. La parte che mi ? piaciuta di pi? della festa ? stato vedere i bambini alzarsi e andare in mezzo alla pista per ballare. La musica e la danza sono una grande parte della cultura senegalese e perfino i bambini di 2 o 3 anni conoscono i balli tradizionali. Vederli alzarsi volontariamente senza essere costretti e andare a ballare e mostrare i loro passi del tutto disinibiti ? davvero molto diverso da quello a cui sono abituata. La festa si ? conclusa con degli sketch comici che hanno molto divertito tutto il pubblico. I bambini hanno ricevuto le loro merende e sono andati via con un gran sorriso stampato in faccia.

La festa ? stata un gran successo! Grazie ad Amadi, alle maestre e maestri e allo staff!

Michele Vignogna ? SDA Bocconi Intern


Dakar sembra non finire mai.

? una citt? che se non la conosci ti fa venire il mal di testa, ? formata da tanti grandi quartieri in cui si potrebbero passare giorni e giorni senza riuscirne a uscire. Lo sguardo si infrange continuamente contro i palazzi, i carretti, i mercati pi? o meno improvvisati,il turbinio delle macchine e dei camioncini, gli animali e le persone che si accalcano nelle vie. Sembra che non ci sia spazio sufficiente per ospitare tutto nello stesso momento e invece tutto si sussegue in un vortice che pu? apparire caotico e confusionario ma che in realt? ha una sua logica intrinseca. La citt? nasconde al suo interno spazi che non sono immaginabili o visibili a un occhio poco esperto, come le tante baraccopoli che crescono e si insinuano tra un edificio e l?altro all?ombra del potere economico, giusto per sottolineare maggiormente i contrasti e le disparit? che fanno capolino da ogni dove. Il ritmo ? frenetico anche se tutti fanno le cose con i propri tempi, senza curarsi dello scorrere dei minuti. Il caldo carico di umidit? accompagna tutti i movimenti, rallentando e a volte azzerando le velocit? e le energie in attesa della pioggia liberatrice, che per? pu? anche rivelarsi fonte di pericoli e sventura e una volta passata porta un caldo ancora pi? denso. La giornata ? scandita dalle miriadi di contrattazioni che hanno luogo in ogni posto e per ogni cosa, dalla corsa in taxi alla frutta e ai prodotti pi? disparati, e dalla litania che esce puntuale dalle moschee sparse per la citt?, oltre che dalle domande di rito attraverso cui bisogna passare ogni volta che si incontra qualcuno.

Flavia Zecchin – Supporto e traduttrice.

Dakar, 3 luglio 2012

22.45 ora locale. L?aeroporto di Dakar si presenta un posto angusto e poco illuminato. Un leggero brusio accompagna la fila agli arrivi internazionali: un visto sul passaporto ed io e i miei compagni di viaggio ci avviamo verso l?uscita, dove ci aspetta Amadi. Le transenne ci separano dalla folla che attende i parenti, il colore del buio offusca i volti trepidanti, Amadi ci viene incontro.

Con un piccolo pulmino bianco, mezzo scassato, abbandoniamo la zona aeroportuale in direzione Gibraltrar 2.

Attraverso i vetri tremolanti, la mia mente immortala i primi scatti della citt?, le prime immagini confuse di una miriade di stimoli luminosi, sonori e olfattivi. Alcune strade non sono dotate di illuminazione, talvolta esse non sono asfaltate e diventano polverose al passaggio dei veicoli. Si capisce subito che qui il taxi ? il mezzo di trasporto pi? usato insieme a piccoli autobus. ? tardi, tuttavia tante persone camminano per le vie, a volte al centro della strada ed il clacson dei taxi segnala il proprio passaggio, imponendo loro di spostarsi; non si vedono molti marciapiedi in giro.

In alcuni punti della citt? si sentono degli odori davvero penetranti; all?altezza di alcuni mercatini quest?odore si fa sempre pi? nauseabondo: sembra di essere al mercato del pesce di un porto, odori cos? forti che ti assorbono le idee a partire dalle narici e ivi restano fino a quando non ti trovi in un letto e provi a prendere sonno.

La struttura a baldacchino del mio giaciglio, circondata dal velo della zanzariera, mi occlude il respiro, cerco di accompagnare lentamente gli occhi verso il basso; poche ore mi separano da Unaltroasilo.

La mattina seguente il cuore ? in trepidazione e fuori dal cancello della Garderie gli schiamazzi e le risate dei bambini accelerano i miei passi; il direttore della scuola, il nostro amico Amadi, ci accompagna per le classi. Gli occhi allegri dei bambini sono tutti puntati su di noi, ci assalgono per essere baciati e abbracciati; essi inneggiano il nome di Maurizio, al suo ingresso perch? ? l?unica persona che riconoscono, gli altri volontari timidamente si presentano: Michele e? una giovane americana che studia a Milano, poi c? e? Flavia, una ragazza giovanissima di Milano che ha alle sue spalle altre esperienze di volontariato in Africa, infine ci sono io, insegnante di scuola primaria in Italia, alla prima esperienza diretta col volontariato internazionale.

La mattinata ? volata in fretta all?asilo, ho improvvisato alcuni canti italiani in una classe, i marmocchi sembravano divertiti, dopo abbiamo mangiato a scuola la stessa pietanza dei bimbi; accovacciati a piedi nudi su un tappeto intorno ad un piatto enorme, tutti insieme condividiamo il pasto: riso con carne, il tutto aromatizzato con salse super piccanti.

Torniamo nella casa in cui pernotteremo per una settimana, una di quelle abitazioni che riecheggiano le case dei nostri trisavoli degli anni 30 dove il pavimento si presenta colorato, ha forme geometriche e decorazioni differenti per ogni stanza. Per fare la doccia ? consigliabile aspettare la sera o la tarda notte perch? al mattino, a volte, non sgorga neppure una goccia d?acqua. Acquistiamo l?acqua da bere e per cucinare in una ?boutique?.

Se sei a Dakar ed entri in una boutique non aspettarti di trovare abiti alla moda, con questo termine si indicano le piccolo botteghe in cui si vende di tutto, dai detersivi, alle sigarette, ai beni di prima necessit?.

Quando cammino per le vie, fisso costantemente i miei piedi per paura di inciampare tra le pietre cementate a dislivelli, o per evitare di sprofondare nella sabbia o terra rossa, che ricopre le strade.

Le donne indossano abiti lunghissimi e molto ampi che non lasciano intravedere nessuna sinuosit? corporea, ma attirano lo stesso per i loro colori cangianti e le fantasie ritmiche. Penso che le donne qui siano abituate a lavorare tanto fin da piccole; hanno sul capo turbanti che raccolgono folti capelli, a volte trasportano con loro oggetti pesanti sulla testa, alcune hanno i loro figli in grembo o dietro la schiena raccolti in un lembo di stoffa, le meno fortunate si trascinano tutti e tre i pesi contemporaneamente.

A bordo di un taxi, ascoltando la musica locale, si colgono i dettagli disordinati di un mondo assai complesso. Provo ad aprire lo sportello dal lato sinistro, ? bloccato, pare per questioni di sicurezza; i taxi pi? moderni hanno un pennacchio appeso accanto alla marmitta, una specie di coda di cavallo.

I pulmini del cosiddetto ?Trasport commun? sono sempre gremiti di gente e sembrano essere privilegiati rispetto a quelli del trasporto pubblico, probabilmente hanno delle tariffe pi? basse. Un ragazzo resta appeso ad una scaletta alla fine del pulmino, nel punto in cui l?entrata dei passeggeri coincide con l?uscita. Non ? rimasto in piedi perch? non c?? posto, ma semplicemente ? addetto a raccogliere i soldi dei biglietti e d? il resto. Non deve essere per niente un bel lavoro questo!

Nelle zone periferiche della citt? alcuni negozi si presentano uno attaccato all?altro, sembrano scatole affusolate, le pi? resistenti fatte di alluminio, altre fatte di cartone, alcune proprio di nulla; i negozi mobili sono quelli dei venditori ambulanti, dei veri e propri carretti di legno con assi incrociate e sorretti dal tempo, un?immagine assai ricorrente qui a Dakar.

La giornata successiva sembrava una come tante, la strada che percorrevamo sembrava una delle tante, anche noi sembravano persone qualunque, forse solo dalla pelle un po? pi? chiara. Giungiamo di fronte a un portoncino d?acciaio col gradino a rialzo, questa porta resta intrappolata tra due negozi e quasi non si nota in mezzo alla confusione del mercato, ha il colore rosso spento ed e?arrugginita. In realt? sappiamo gi? cosa ci aspetta al di l? di quella entrata, Maurizio, il nostro responsabile ci ha preparato bene.

Di baraccopoli come questa a Dakar ce ne sono tante, questa in particolare si trova nel quartiere di Medina, alle spalle di un possente edificio sede della banca.

Varcata quella porta si viene travolti da un ammasso disordinato di rottami, da un groviglio di lamiere e cartoni ricomposti in modo tale da costituire quello che comunemente noi chiamiamo casa, qui il luogo dove vivere ? un cubo di spazzatura. Seguiamo un percorso all?interno di questo labirinto di baracche per cercare il punto in cui vivono delle donne che da alcuni anni collaborano con progetti della nostra associazione. Il tragitto ? breve ma sembra lunghissimo, il naso non resta indifferente a questi odori. Riconosco alcune bambine che frequentano il nostro asilo. Le donne ci fanno accomodare e si mettono a macinare il miglio, mentre gli occhi non la smettono di guardarsi intorno. Solo donne e bambini abitano qui; molte mosche si sono trasferite in mezzo a quello che ? il loro habitat ideale: i rifiuti. Qui non c? e? acqua, non ci sono servizi igienici. I volti sono segnati dalla fatica e dal caldo, sono i volti di chi ? riuscito ad abituarsi a queste condizioni; sono volti che, nonostante tutto, sorridono ed io mi sforzo di avere un?aria indifferente. Immagino per un attimo che cosa possa succedere con le piogge nella baraccopoli. Ci lasciamo alle spalle il portoncino rosso spento, mezzo arrugginito e con esso venti minuti interminabili di una giornata che non dimenticher? mai.

Stasera l?acqua scorre velocemente in Gibraltrar 2.

Elena Tramacere ? Volontaria Unaltromondo Onlus

 

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